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VIOLA DI MARE

Un film di Donatella Maiorca.

Con Valeria Solarino, Isabella Ragonese, Ennio Fantastichini, Giselda Volodi, Maria Grazia Cucinotta.

Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 105 min. – Italia 2009. – Medusa. Uscita: venerdì 16 ottobre 2009.

 





VOTO: 5,5


Tratto dal romanzo “Minchia di re” di Giacomo Pilati, “Viola di mare” dimostra un profondo rispetto per la condizione femminile, qui inserita quasi come ornamento all’interno di una “società degli uomini”. Ed è bella l’idea di ritrarre un affetto e un amore tra due donne su di un’isola che da infelice si trasforma quasi nel suo contrario; c’è la sensazione di vivere in un altro mondo, lontano da una civiltà più avanzata (ammesso che nel continente della fine dell’800 si fosse potuta trovare), aggrappati a un primitivo istinto protettivo e distruttivo insieme (la famiglia e il paesino dettano le regole). Splendidi gli scenari dell’isola di Favignana, dove il film è stato girato, che avrebbero potuto tuttavia farsi impeti allegorici di superstizione, tra donne streghe, possessioni demoniache e il ruolo di una chiesa e di un parroco così malvagi nel loro essere violentatori di fisici e coscienze.

Queste “women in love” desiderano l’indipendenza, anche sessuale. Ma la traccia è esile (si deve passare ancora una volta attraverso la tragedia e il sacrificio), il “viola di mare” che cangia il suo sesso sembra più un viola quaresimale, subissato da un destino inesorabile dal sapore verghiano. I canoni rappresentativi della vicenda sono abbastanza banali, mancano slanci concreti, ci si accontenta di una narrazione più che formale e generica. Sembra quasi che la produzione di Medusa abbia vigilato sullo scenario, pronta a piantare i paletti di quei confini che “sarebbe meglio non valicare”.

Per fortuna c’è l’armonica coppia formata da Valeria Solarino e Isabella Ragonese, le quali danno ai loro tormentati personaggi quel senso di solidarietà, delicatezza e quotidianità che formano il vigore dell’intera iniziativa. Un’idea posta in essere da un cast tutto al femminile: dalla regista Donatella Maiorca alle musiche composte da Gianna Nannini che avvicinano la pellicola ai nostri tempi, fino alla produzione (e a un piccolo ruolo) di Maria Grazia Cucinotta e alla sciatta sceneggiatura.


MINE VAGANTI – Recensione

Un film di Ferzan Ozpetek.

Con Riccardo Scamarcio, Nicole Grimaudo, Alessandro Preziosi, Ennio Fantastichini, Lunetta Savino.

Commedia, durata 110 min. – Italia 2010. – 01 Distribution. Uscita: venerdì 12 marzo 2010.






VOTO: 8


La mia passione per la visione casalinga, visto che trovo il mio divano molto più rilassante di una qualsiasi sala cinematografica, mi porta in genere a lunghi tempi di attesa prima di vedere anche i films che mi “invitano” di più: e, nel caso dell’ultimo lavoro di Ozpetek, i motivi di curiosità erano tanti, perchè ho sempre giudicato il regista interessante e insoddisfacente al tempo stesso.

“Le fate ignoranti”, opera che lo ha reso in un istante regista di culto (una sorta di Almodovar turco-italico), era per me un film piacevole ma lontano dall’essere “misurato”… “La finestra di fronte” mi ha convinto molto di più, era genuinamente intenso e privo di colorazioni eccessive, e proprio mentre mi aspettavo che il suo stile registico trovasse nuovi spunti e nuovi percorsi mi attendevano visioni imbarazzanti (“Cuore sacro”), quasi irritanti (“Saturno contro”, sornione e banale), o inutili (“Un giorno perfetto”).

Per quanto riguarda “Mine vaganti”, il tempo passato attendendo l’uscita del dvd mi ha dato modo di ascoltare commenti e giudizi vari…. e, più che altro, quello che ho sentito dire era che si trattasse di una commedia “molto divertente”…. giudizio che, in realtà, sminuisce notevolmente i pregi di quest’opera che è, a mio avviso, il lavoro più interessante e maturo della carriera di Ozpetek.

Ci sono, certo, scene argutamente buffe e scambi di battute brillanti ed esilaranti, ma il tutto non può essere definito “divertente” in quanto il gusto predominante è assolutamente amaro, e il tema centrale riguarda i compromessi inevitabili tra quelle che vorrebbero essere le nostre scelte di vita e quello che la famiglia si aspetta da noi, e di come, in qualche modo, l’avere degli affetti solidi limiti sempre la nostra libertà personale.

E finalmente, dopo avere a lungo trattato il tema della “famiglia allargata”, qui Ozpetek si concentra sui meccanismi e gli equilibri di una famiglia tradizionale, una famiglia del sud italia, una famiglia di provincia chiusa e lontana dalla “modernità”, una famiglia la cui brillante posizione economica e sociale, raggiunta a fatica negli anni, ha paralizzato i legami e la possibilità di espressione personale. La tematica gay, tanto cara al regista, è solo uno spunto per evidenziare appunto la “paralisi” di una condizione familiare dove nessuno è realmente convinto di quello che è e di quello che fa, ma tutti si adattano a vivere “nella gelatina”, e imparano anche a sorridere e godere di quello che hanno. Come la nonna, personaggio intensissimo, che ha costruito il successo economico della famiglia col cognato, vero amore della sua vita – amore che ha potuto vivere solo nel sogno o nella trasgressione segreta (non si sa), e da cui comunque ha tratto emozioni e soddisfazione. Ma ecco in agguato il “generation gap”, e il figlio minore, che tra l’altro è vissuto e ha studiato in una grande città, non è affatto propenso a rinunciare alla propria gaya libertà, e nemmeno è disposto a nascondersi e mentire… invitando inconsciamente il fratello, anche lui gay, a fare coming out prima di lui… e alla fine entrambi, in modo diverso, tradiranno le aspettative dei genitori e guadagneranno la propria libertà, il maggiore dichiarando la propria vera sessualità e il minore, in modo molto consapevole, tralasciando (almeno momentaneante) di parlarne per “tradirli” comunque seguendo le proprie vere ambizioni professionali e non il futuro per lui già pianificato.

Il ritmo del film lascia appunto agli intermezzi allegri solo qualche breve momento e si concentra sull’intimismo, sull’emozione dei gesti e degli sguardi, sulla malinconia e sulle difficoltà personali, e punta molto sui personaggi di contorno (qualcuno caratterizzato brillantemente, qualcuno accennato e irrisolto).

E, complice anche la scelta delle locations, gustosamente mediterranee, e la colonna sonora azzeccatissima, Ozpetek confeziona il suo film più “italiano”, dipingendo al tempo stesso il passato e il futuro della nostra terra – e la loro difficoltà ad incontrarsi… trova una misura convincente e corretta e non eccede nel melò (anche se spesso i dialoghi indugiano in piccole “saggezze” e insegnamenti di vita), dirige magnificamente un cast di attori sensazionali e perfettamente in parte, e perde tono solo nell’intermezzo in cui inserisce un po’ inutilmente nella storia gli amici gay del figlio, virando verso caratterizzazioni stereotipate e un tono da commedia clichè… ma è solo un momento non riuscitissimo in un film dai tanti pregi.

Il finale, simbolico e sfumato, lascia intravedere luci e soluzioni, ma rimane volutamente in sospeso, dopo un’intensissima scena ad un funerale per le strade di una Lecce fascinosa e assolata…

Certo, è Ozpetek, è ancora una volta un film corale, ancora una volta il tema dell’omosessualità è presente, alcune scelte registiche sono prevedibili, ma ci sono elementi nuovi o meglio consolidati e il meccanismo narrativo è più calibrato del solito, l’amarezza è argutamente stemperata dall’ironia, la mano del regista è convinta e padrona della situazione, e l’emozione, alla fine, è piacevolmente spontanea.


FORTAPASC

Un film di Marco Risi.

Con Libero de Rienzo, Valentina Lodovini, Michele Riondino, Massimiliano Gallo, Ernesto Mahieux.

Drammatico, durata 108 min. – Italia 2008. – 01 Distribution. Uscita: venerdì 27 marzo 2009.






VOTO: 7


Pur essendo ben interpretato da Libero De Rienzo, spontaneo e verosimile nei panni di Giancarlo Siani, e spalleggiato da attori quali Fantastichini e Mahieux, “Fortapàsc” manca di guizzi e segni distintivi. Come il finale che, precorso fin dall’incipit, non ha niente di memorabile o commovente. Resta la nobiltà di un progetto utile a rivelare e commemorare la storia di chi, dandosi a un giornalismo puro ed esplorativo, ha combattuto per una società migliore contro la prepotenza e le tangenti, compresso tra intimidazioni, biasimi e freddezze. Un’ingenuità, legata indissolubilmente a quei tempi per certi versi ancora desiderosi di verità, che non esiste più. Chi sarebbe in grado oggi di arrivare a tanta virtù morale rinunciando alle amicizie dei politici?

L’agguato a suon di colpi di pistola durante la radiocronaca calcistica di Napoli-Verona, se da un lato mostra un aspetto spettacolare e un’ostentazione nella bravura della messa in scena, dall’altro cade su banalità quali la presenza della bambina (fin troppo annunciata nel suo destino “grazie” al pedinamento della telecamera) e l’uccisione di “Maradona” proprio nel momento del goal. La vis drammatica ne risente e la vicenda, più che tingersi di rosso, vira verso i colori dell’azzurro. Il calcio sarebbe dovuto essere un elemento da cui prender le distanze, invece Risi ci cade un po’, forse per smarrimento, forse memore di un film proprio su Maradona. Dove il regista ci mette del suo è nella straniante e insolita scena del ceffone-fantasma, all’interno del bar: un modo atipico per descrivere il rifiuto di tutta la collettività e il disorientamento del protagonista.

La sceneggiatura collega resoconto e storia privata di un ragazzo che vive “dentro” Torre Annunziata, la cosiddetta Fortapàsc ribattezzata proprio da Siani, e lo fa non mantenendo sempre un equilibrio efficace. Interessante l’approfondimento del carattere del giornalista: spesso superficiale, scialbo, e impacciato. In una parola: umano. Il film di Marco Risi a volte è fin troppo stilizzato, pulito, cesellato nei toni della fotografia tanto da sembrare posticcio. Visto che si tratta di vicende altamente drammatiche, e purtroppo vere, avrebbe meritato una maggiore “sozzura”, quel tanto che avrebbe contribuito a renderlo vagamente realistico (che ci sia lo zampino della Rai?). Quantomeno per rispetto degli ambienti scavati dal periodo post-terremoto.